A mouse e tastiera ormai non si rinuncia. Per moltissimi italiani, specie quelli sotto i 50 anni, il computer e’ diventato come una droga. E nel Belpaese dilaga un’epidemia di “uomini e donne ‘drogati di pc’, con la convinzione di poter smettere in qualsiasi momento e incapaci di avere rapporti veri con le persone”. E’ allarmata la descrizione che Paola Vinciguerra, presidente dell’Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di panico, fa degli italiani che usano abitualmente il computer, in base a un’indagine condotta per ‘fotografare’ il fenomeno.
Da un sondaggio on line sul sito dell’Eurodap (www.eurodap.it), che ha coinvolto 800 persone che posseggono un computer e navigano sul web (uomini e donne tra i 20 e 75 anni), e’ emerso che per il 70% degli intervistati al di sotto dei 55 anni usare il pc al di la’ dei motivi di lavoro per piu’ di 2 ore al giorno e’ “normale, sano e indispensabile”. Solo il 15%, non a caso compreso nella fascia di eta’ piu’ alta 55-75 anni, ne fa un uso piu’ moderato e non lo considera un miglioramento per i rapporti sociali, ma solo uno strumento utile. Il rimanente 15%, pur non arrivando ai livelli dei ‘maniaci del pc’, e’ sulla stessa strada.
“Analizzando le risposte degli intervistati -spiega la Vinciguerra- si ha la sensazione di trovarsi di fronte a persone completamente dipendenti dal pc, a drogati di computer che non si ritengono tali. Convinti come sono di poter smettere in qualsiasi momento”.
E quando si cerca di segnalare i pericoli di una chiusura nei confronti del mondo reale, i pc-maniaci fanno spallucce. “E’ come parlare con degli adolescenti di quanto sia dannoso fumare gli spinelli o bere alcool. I ragazzi – prosegue la psicoterapeuta – rispondono che possono smettere quando vogliono e che poi non fa male. Ecco, chi passa ore davanti al pc pensa che non ci sia il pericolo della dipendenza, che non siano in agguato disturbi e addirittura danni cerebrali”.
Secondo la Vinciguerra, invece, l’uso del computer in maniera incontrollata e’ molto pericoloso “L’overdose di chat, social network, sms, e-mail puo’ generare comportamenti ossessivi, ansia e depressione. In America e’ stato coniato il termine co-rumination, per indicare la necessita’ ossessiva di condividere o rendere noto ogni nostro movimento e pensiero, ogni nostra esperienza. Rapporti che sembrano numerosi e ci danno la sensazione di essere meno soli, ma in realta’ sono contatti che non esistono”.
E sono proprio questi “finti legami a mantenerci nella solitudine -aggiunge la Vinciguerra, anche presidente dell’Uiap, Unita’ italiana attacchi di panico presso la Clinica Paideia di Roma- E’ come quando si va ad una festa con tante persone che si conoscono appena: si parla un po’, qualche frase di circostanza e poi si torna a casa piu’ soli di prima poiche’ non si e’ avuto alcuno scambio emotivo. La solitudine e’ un grave problema a livello mondiale, che riguarda quasi il 20% della popolazione e in Italia interessa 4 milioni di persone”.
Secondo la Vinciguerra “il problema della solitudine non si risolve chiudendosi in casa, rimanendo incollati al computer, mangiando male e fumando una sigaretta dopo l’altra, abitudine che hanno in moltissimi. Non si deve certo demonizzare quello che tanta ricerca ci ha dato, favorendo il progresso in tutti i settori e la possibilita’ di progredire nel campo scientifico. Ma cio’ che si deve fare e’ usare queste tecnologie per migliorare noi stessi e la nostra qualita’ di vita, non essere usati”.
Secondo l’esperta e’ il momento di agire. “Bisogna controllare la nostra permanenza quotidiana davanti al computer e anche quella dei nostri figli. Il pc ci deve servire per stabilire dei contatti che poi devono diventare reali. E’ una macchina e non puo’ e non deve sostituire le persone. Impariamo a concederci un giorno sabbatico, al di fuori del mondo tecnologico: spegniamo i computer e i telefonini – esorta – e cerchiamo di gustarci ogni momento trascorso con le persone reali alle quali vogliamo bene”.
“Dobbiamo riuscire a regalarci del tempo lontano da strumenti si’ utili, ma allo stesso tempo dannosi se usati in maniera ossessiva. Proviamo a fare una corsa nel parco senza ascoltare l’i-Pod, ma sforzandoci di sentire i rumori intorno a noi, senza il trillo insistente del cellulare o peggio del blackberry che ci avvisa dell’arrivo di una mail. Rompiamo il guscio dentro il quale ci stiamo chiudendo, mettiamoci in contatto con la vita”, conclude la Vinciguerra.