Cosa nostra e Stidda sono a corto di soldi e dunque, fatto nuovo in provincia di Agrigento, hanno stretto un patto per trafficare direttamente droga. Sono undici i provvedimento di fermo eseguiti nella notte dalla Squadra mobile di Agrigento su ordine della Dda di Palermo, nell’ambito del blitz denominato “Hardom”. In manette, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti sono finiti Salvatore Presti, 31 anni, cognato di Fabrizio Messina (che è il fratello del boss Gerlandino), Giuseppe Grassonelli di 29 anni, figlio di Gigi, ucciso nella prima strage di Porto Empedocle nel 1986, Alfonso Sanfilippo di 39 anni, Roberto Romeo di 30 anni, Alfonso Lauricella di 45 anni, Antonio Russello di 26 anni, figlio di Gaetano, l’ex presidente dell’Akragas ucciso nel 1990 nell’ambito della guerra tra mafia e stidda e indagato per avere fornito un covo al boss Gerlandino Messina. E ancora: Salvatore Radio, 46 anni, Salvatore Miliziano, 21 anni, Salvatore Di Betta, 31 anni, Giuseppe Salemi, 28 anni e Giuseppe Cefalù, 24 anni. Il provvedimento di fermo è stato firmato dal procuratore di Palermo Francesco Messineo e dall’aggiunto Vittorio Teresi perché, secondo quanto si è appreso, alcuni degli indagati erano pronti a fuggire all’estero. Tutti, secondo l’accusa, farebbero parte di un’organizzazione che trafficava droga, soprattutto cocaina, hashish e anfetamine, dal Belgio e dalla Germania attraverso dei corrieri. Dall’operazione non solo emerge il disperato bisogno degli ambienti mafiosi di fare soldi ma anche una inaspettata commistione tra i Grassonelli ed i Messina, due famiglie empedocline, la prima stiddare e la seconda di “rito corleonese” che si sono negli anni ottanta e novanta, praticamente sterminate a vicenda. Il capo dell’organizzazione sarebbe Prestia ed era lui secondo la Dda ad occuparsi dell’approvvigionamento della droga. Quando Prestia era all’estero lo sostituivano Giuseppe Grassonelli e Roberto Romeo. Gli altri indagati si occupavano di smistare la droga ai pusher. L’associazione aveva anche una ampia disponibilità di armi. L’indagine che ha portato oggi all’emissione ed alla esecuzione degli 11 fermati, ha preso avvio dall’arresto di Sergio Racinello, 37 anni, avvenuto a Porto Empedocle il 13 marzo del 2010. Nella circostanza l’uomo era stato trovato in possesso di circa 4 grammi di cocaina, divisa in 5 dosi. In realtà all’arresto di Racinello si è arrivati grazie al servizio di intercettazione telefonica disposto a suo carico nell’ambito del procedimento penale pendente presso la Dda di Palermo per la ricerca dell’ex latitante Gerlandino Messina. Proprio le pregresse intercettazioni telefoniche avevano convinto la Squadra Mobile di Agrigento, che l’attività di spaccio in cui era coinvolto Racinello era in realtà di più ampio respiro, riguardando più persone, tra cui Salvatore Prestia, con precedenti specifici per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti ed altro. Quest’ultimo, infatti, era persona già ampiamente conosciuta dagli investigatori, per i suoi precedenti penali e di polizia e perché, sospettato di detenere il monopolio dello spaccio di “cocaina” a Porto Empedocle. Tale posizione di leadership, in parte derivava anche dal fatto che la sorella di questi, Daniela Prestia, era all’epoca fidanzata ed attualmente coniugata con Fabrizio Messina, fratello dell’ex latitante Gerlandino Messina, esponente di vertice della cosa nostra agrigentina.
Video © AgTv
Da subito, inoltre, si è prospettata l’ipotesi, poi pienamente confermata, che Salvatore Prestia si serviva per il compimento di tale illecita attività di Giuseppe Grassonelli (detto “Peppi u bìunnu”), che aveva a sua volta “a disposizione” altri soggetti dediti allo spaccio al dettaglio. D’altra parte, nel momento in cui è stata avviata l’attività investigativa, Salvatore Prestia era sottoposto alla misura restrittiva della detenzione domiciliare, e doveva necessariamente fare ricorso a terze persone per lo svolgimento dell’illecita attività. Circa il canale di rifornimento dello stupefacente, si è ipotizzato, ancora una volta in maniera corretta secondo le successive risultanze d’indagine, l’esistenza di collegamenti con paesi esteri. Il prosieguo delle indagini, però, faceva chiaramente emergere due profili che imponevano il trasferimento del fascicolo alla Procura di Palermo, funzionalmente competente: quello di un’attività di spaccio organizzata e quello di vicinanza degli indagati all’organizzazione criminale di stampo mafioso. In effetti grazie soprattutto all’attivazione delle intercettazioni ambientali all’interno di due autovetture Volkswagen Golf, in uso, rispettivamente, a Alfonso Sanfilippo e Salvatore Prestia, è stato possibile delineare, in modo inequivocabile, l’esistenza di una ramificata organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti di vario genere, al cui vertice è posto senza dubbio Salvatore Prestia. E’ quest’ultimo si sono occupati dell’approvvigionamento della droga all’estero, che viene poi suddivisa, in conto vendita, a vari accoliti che dovranno provvedere al materiale spaccio. In effetti, proprio tale sistema e cioè la cessione di partite di droga a credito ha permesso a Prestia, per sua stessa ammissione, di guadagnare una posizione di supremazia nel settore dello spaccio. D’altra parte, poi, la stessa appartenenza del Prestia e di alcuni suoi sodali a famiglie storicamente inserite negli organigrammi mafiosi di questa provincia, li connotano come criminali di elevata pericolosità e riducono al minimo i rischi di non recuperare i crediti vantati. In effetti, in più circostanze, Salvatore Prestia non disdegna di sfoggiare atteggiamenti aggressivi, volti chiaramente ad intimidire chi è riottoso ad adempiere alle sue richieste. Di contro, però, in altri passaggi delle intercettazioni ambientali, si vantava di avere nei confronti dei suoi sodali un atteggiamento magnanimo, finalizzato a garantirsi la loro benevolenza e fedeltà.
[nggallery id=134]