L’ex ministro della Dc Calogero Mannino, convocato in Procura dai pm che indagano sulla trattativa tra mafia e Stato, si è avvalso della facoltà di non rispondere, possibilità concessagli in quanto indagato. “Mi aspettavo – ha detto all’uscita dal palazzo ai giornalisti – di essere sentito come persona offesa o al massimo come persona informata sui fatti, invece mi ritrovo indagato e scelgo dunque di avvalermi della facoltà di non rispondere”.

“Dovendo respingere ogni congettura accusatoria – ha aggiunto – non ho potuto che tacere; mentre se fossi stato sentito in altra veste, avrei, come sarebbe stato mio dovere, contribuito a fornire delucidazioni e opinioni su quella tragica stagione del ’92 la cui ricostruzione storica è sempre più necessaria, e invece devo sopportare ancora una volta il gioco di pretese accusatorie assolutamente prive di fondamento”.

Secondo Mannino “i pm perdono ancora una volta l’occasione di ricostruire, almeno sul piano storico un contesto: l’offensiva terroristica di cosa nostra, nell’anno delle stragi, aveva l’obiettivo di travolgere la Democrazia cristiana e colpire uomini come me per quel che ho fatto per la lotta alla mafia”.

Mannino è accusato di essere uno dei protagonisti della trattativa tra mafia e Stato e di avere, in questo ambito, fatto pressioni per ottenere le revoche, nel ’93, di centinaia di 41 bis per i mafiosi. “Sono ancora una volta una vittima”, ha aggiunto, smentendo di avere contattato l’ex numero due del Dap Francesco Di Maggio sulla questione del carcere duro. “Nel luglio del ’93 – ha spiegato – ero già indagato per la tangentopoli siciliana ed ero fuori dalla possibilità di svolgere qualunque azione politica perchè volevo evitare ogni manifestazione di pensiero ed ogni attività politica”.

Le stragi del 1993 vennero chieste a Leoluca Bagarella da Silvio Berlusconi e da Marcello dell’Utri tramite Vittorio Mangano. Lo raccontò nel 2000 il pentito Giuseppe Monticciolo al pm Gabriele Chelazzi, riferendo quanto gli avrebbe detto Bagarella.

Il documento è ora a disposizione delle parti di alcuni procedimenti di mafia. Mangano avrebbe indicato a Bagarella “gli attentati che voleva fatto Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri” e gli obiettivi: “Non sapevo nemmeno che fossero gli Uffizi, si figuri Bagarella”.

Bagarella avrebbe detto a Monticciolo: “Berlusconi prima vuole fatte le cose, però lui non viene mai agli impegni che prende”. Nel 2000 il pentito lo raccontò al pm di Firenze Gabriele Chelazzi e ai pm della Dda di Palermo Pietro Grasso e Vittorio Teresi.

Monticciolo spiegò che Bagarella “parlava degli impegni che le stragi venivano fatte e poi lui non si impegnava, nel ’93”. Il pentito premette che fino a quel momento non ha parlato di politica con i magistrati per “paura”: “I politici, manovrati sempre dalla mafia, vogliono che io non parli sulle questioni politiche”.

“A Bagarella – racconta Monticciolo – premeva che dovevano togliere cioè, le promesse che facevano loro erano quelle di togliere il 41 bis e di non esserci più restrizioni nei carceri. Loro, come politici, dicevano che salendo loro al potere levavano il 41 bis e levavano i restringimenti nelle carceri”.

Monticciolo ricorda che nel 1994 Bagarella disse “di cercare i voti per Forza Italia pure a ‘panza in terra’” e che Brusca lo incaricò di “riferirlo agli altri capi mandamento”. Nonostante le ‘inadempienze’ di Berlusconi, Bagarella non avrebbe reagito “perché Vittorio Mangano – scrivono i pm riassumendo l’interrogatorio di Monticciolo – in qualche modo lo tranquillizzò facendogli osservare che bisognava aver pazienza e che i risultati sarebbero comunque arrivati”.

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