Il rapporto tra le banche e le imprese nel nostro paese ha sempre suscitato accesi dibattiti, forti polemiche e fiumi di convegni nati con l’obiettivo di avviare un proficuo dialogo tra le parti al fine di superare le storiche diffidenze esistenti tra questi due importanti attori dell’economia nazionale. Ora, evitando di fare cenno alle anomalie del sistema bancario italiano, che lo ha visto, troppo spesso, negativamente cointeressato nel capitale di imprese più o meno importanti del nostro paese poi andate a male , o di fare cenno ai fenomeni deleteri per i quali le banche non finanziano l’economia reale ma preferiscono fare business speculando sui mercati finanziari, quello che qui conta è cercare di fotografare lo stato attuale dei rapporti alla luce della poderosa crisi economica europea ed italiana in particolare, cercando di sfatare luoghi comuni riportando i termini della querelle nelle giuste proporzioni. Qui mi sforzerò di fare qualche riflessione, spero obiettiva, al fine di avviare una discussione su quale dovrebbe essere il ruolo della banca in una sana economia di mercato dove le imprese finanziate tendono a creare ricchezza.
Il punto di domanda è: banche e imprese possono crescere insieme? A mio avviso assolutamente si, anzi appare quanto mai indispensabile che debbano crescere insieme specie in un periodo così difficile per la crescita economica del nostro paese.
Ma se provassimo a chiedere all’uomo della strada cosa pensa delle banche e del loro modo di operare, con ottima probabilità ci sentiremmo rispondere con affermazioni del tipo: “ Le banche danno i soldi a chi ce li ha”, “ le banche danno uno e chiedono tre a garanzia”, oppure: “le banche sono degli usurai legalizzati “ o peggio “le banche sono delle sanguisughe pronte a mollarti e a chiudere i rubinetti della finanza al primo cenno di debolezza dell’impresa.
Probabilmente, se parlassimo con un esperto operatore bancario, ci direbbe che con l’impresa vi è, storicamente, una forte asimmetria informativa: “che l’imprenditore italiano non sempre è sincero con la banca”, “lo è ancora meno con il fisco”, “di sovente i dati reddituali e patrimoniali dell’impresa non corrispondono quasi mai alle reale situazione aziendale”, “ “che l’imprenditore, in genere, è privatamente solvibile e benestante ma che l’impresa opera con un capitale minimo spesso insufficiente a far fronte agli obblighi assunti”, “che spesso le richieste di prestito per investimenti prevedono che a rischiare maggiormente sia la banca e poco l’imprenditore” e così via.
Ma se le cose stanno così, diventa indispensabile creare i giusti presupposti per un avvicinamento che consenta una positiva evoluzione del rapporto banca-impresa in un ottica di marcato cambiamento delle relazioni.
Le piccole e medie imprese, costituenti il sistema portante del tessuto produttivo italiano per oltre il 90 %, hanno necessità di crescere per poter essere più competitive e un ruolo chiave per favorire questa crescita è rappresentata dal credito bancario. Ma al contempo, le banche hanno da gestire crescenti problemi di bilancio connessi all’aumento delle “sofferenze” (cioè dei prestiti non restituiti) frutto di crisi di mercato, conseguenti cali di fatturato delle imprese e, quindi, ridotta capacità di rimborso dei prestiti.
Quale soluzione allora? Gli esperti in materia hanno proposto diverse soluzioni al riguardo tutte potenzialmente valide ma tra queste mi convince di più è quella che affida alle banche territoriali, cioè quelle che per dimensione ed organizzazione conoscono e presidiano meglio il territorio, il compito di affiancare il piccolo l’imprenditore nei propositi e progetti di crescita imprenditoriale fornendo allo stesso vera e propria consulenza economica e finanziaria, consulenza volta al successo della iniziativa finanziata che crei reciproca soddisfazione tra le parti. Questo potrebbe gettare le basi per distendere un rapporto fatto spesso di diffidenza, colmando quelle criticità di fondo che hanno portato, quasi sempre, l’imprenditore a vedere la banca non come partner necessario ma come l’ennesimo ed eccessivo costo da pagare. Daltro canto sovente l’attività di prestito della banca a mera raccolta documentale e richiesta di garanzie anziché studio dei punti di forza e di debolezza del progetto imprenditoriale da finanziare.
Si può fare? Assolutamente si, ma basta convegni è giunta l’ora di cambiare sul serio per il bene e nell’interesse di tutti. E allora gli istituti di credito che avranno questa visione dovranno investire rapidamente in processi di riqualificazione delle risorse umane orientando le stesse allo studio dei mercati e delle sue evoluzioni, all’approndimento delle tematiche connesse agli strumenti agevolativi previsti da leggi nazionali ed europee, alla conoscenza di tutti i prodotti finanziari utili a favorire la crescita dell’impresa e la copertura dei rischi connessi alla attività imprenditoriale.
In conclusione sono certo che i nostri piccoli e medi imprenditori, spesso disorientati e confusi da una miriade di scelte/opportunità da vagliare, sceglierenno quelle banche che riusciranno a fornire loro una stabile assistenza consulenziale di primo orientamento finalizzato a creare quel clima di fiducia oggi quasi del tutto inesistente. Risorse umane qualificate e punti di consulenza al servizio delle imprese potrebbero essere le scelte vincenti per una rinnovato rapporto banca – impresa.
Ma le banche, specie quelle locali, sono pronte ad investire nella qualità delle risorse umane premiando il merito o continueranno a selezionari i quadri dirigenti e gli impiegati con le solite e vecchie logiche?
Vincenzo Racalbuto