A febbraio, secondo i dati di Bankitalia, i prestiti alle imprese sono scesi dello 0,4 % e ciò nonostante una immissione di liquidità sul sistema bancario di circa € 270 miliardi.

Ma allora cosa impedisce alle banche di erogare credito alle imprese? La risposta? Da un lato il deterioramento dei principali indicatori economico-patrimoniali delle imprese stesse che rende difficile poterle finanziare. In altri termini, se le regole per l’accesso al credito si fondano sulla buona solvibilità delle imprese, cioè sulla loro capacità di far fronte ai pagamenti ed alle obbligazioni assunte allora si capisce perché il “cane” continua a mordersi la coda. Dall’altro lato sono le stesse imprese che, atteso il forte clima di incertezza che avvolge lo scenario economico, hanno ridotto la richiesta di finanza alle banche rinviando eventuali progetti di investimento a tempi migliori.

Non è facile uscire da questo impasse a meno che non si voglia prendere, una volta per tutte, coscienza della drammaticità della situazione nella quale ci troviamo ma senza perdere il giusto spirito combattivo di chi continua a credere che dalla crisi, con il tempo, si può uscire.

Partiamo dalla considerazione, positiva almeno questa, che oggi rispetto al passato, le imprese e le economie dalle stesse attivate rappresentano un bene da tutelare ad ogni costo specie in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo.

A tal proposito, è stato raggiunto di recente tra l’ABI – Associazione Bancaria Italiana – rappresentativa di tutte le banche del nostro paese e le principali associazioni del mondo imprenditoriale e produttivo italiano, un accordo per nuove misure di aiuto alle imprese. In particolare l’accordo prevede tre interventi di carattere finanziario: sospensione delle rate di mutuo da pagare alle banche per 12 mesi, allungamento delle scadenze dei mutui e dei prestiti a breve termine per esigenze di cassa e concessione di finanziamenti da parte delle banche a quelle imprese che intendono rafforzare i propri mezzi patrimoniali. A queste misure avranno diritto tutte quelle imprese, piccole e medie, che al momento della presentazione della istanza si trovino tecnicamente “ in bonis”, cioè non abbiamo particolari problemi di insolvenza con la banca ma che prevedono di avere, nell’immediato futuro, difficoltà nel fare fronte agli impegni assunti.

A ciò si aggiunga la possibilità, offerta dalle leggi vigenti, di ottenere moratorie e accordi di sistemazione, sia in sede giudiziale che extra-giudiziale, per i debiti contratti da imprese che oggi si trovano in “crisi”, ma a condizione che la crisi dell’impresa sia temporanea cioè venga dimostrata “scientificamente” con un piano economico-finanziario che preveda il superamento della crisi nel breve-medio termine. Questo significa che mentre anni fa il sistema conosceva solo il bianco o il nero e, quindi, o si era solvibili o si falliva, oggi il clima normativo è decisamente cambiato e ciò nell’interesse di tutti. L’impresa in crisi può sperare di farcela con i giusti accorgimenti e le opportune soluzioni. Come dire, è stata introdotta la “sfumatura di grigio”.

Questo lo diciamo affinchè si smorzi, in qualche modo, quel clima di disperazione che ha caratterizzato queste ultime settimane culminato anche in gesti disperati ed eclatanti da parte di qualche imprenditore che non è più riuscito a vedere l’uscita dal tunnel.

Ma ora mi viene da chiedermi. Qualunque misura di aiuto si possa prevedere o utilizzare al fine di creare i giusti presupposti per ritornare a finanziare la ripresa economica e, quindi le imprese, può continuare ad essere affidata nella sua concreta esecuzione ad una classe dirigente sia essa finanziaria, politica o economica, che ha fatto della impunità e del delirio di onnipotenza, il modo più naturale di vivere?

Se è vero, com’è vero, che dietro ogni processo di profondo cambiamento e di cambio di rotta vi sono gli uomini, allora ritengo che siamo messi male. Ma per dirlo con le parole del filosofo Spinoza “ Non si piange sulla propria storia, si cambia rotta “.

Oggi al governo nazionale abbiamo, che lo si condivida o meno, un tecnico. Perché? Probabilmente perché la politica della non politica, cioè quella fatta da arricchimenti personali, da ruberie varie e dalle lobby di potere non ce l’ha fatta più a reggere il disastro che ha contribuito a causare. Quindi tra Ministri ai quali qualcuno compra una casa a loro insaputa o leader politici che con serena tranquillità utilizzano i rimborsi elettorali pagati da tutti noi per esigenze personali, possiamo dire che la politica, o meglio certo diffuso modo di fare politica, ha perso ogni credibilità?

Se alcune istituzioni finanziarie continuano ad avere al loro vertice soggetti che hanno fallito nella gestione, distruggendo ricchezza anziché crearla, se banche continuano ad essere amministrate come feudi personali dove la cosa importante è resistere ad ogni cambiamento perché non si è capaci di avviare percorsi che favoriscano il rilancio di azioni virtuose volte a creare i veri presupposti per finanziare le imprese, dove vogliamo arrivare?

Se la classe imprenditoriale non avvia percorsi atti ad invertire il ciclo economico con strategie di crescita che facendo tesoro degli eventuali errori del passato pongano oggi nuove condizioni per la conquista di nuovi mercati con aumento della redditività, cosa dovrebbero finanziare oggi le banche?

Bisogna dare maggiore finanza alle imprese e su questo non si può non essere d’accordo. La ripresa e la ricchezza passa da li. Ma sono fortemente convinto che se tutti insieme non lavoreremo per rimuovere le criticità di cui si è detto sopra, questa nuova finanza sulle imprese non arriverà mai.

Sono convinto che le idee sono chiare in tal senso, ma se le buone idee continueranno ad essere affidate a chi ha ampiamente dimostrato di non avere a cuore lo sviluppo della società noi vedremo con difficoltà l’uscita dal tunnel.

Quale soluzione allora? Condividere i processi di cambiamento tra gli attori dello sviluppo economico. Forse chi è deputato a deliberare fidi bancari per le imprese dovrebbe trascorrere una settimana in compagnia dell’imprenditore da finanziare al fine di percepirne le aspettative, le difficoltà, le ansie ed i problemi quotidiani che lo stesso vive per giungere, infine, a condividere il progetto da finanziare? Forse l’imprenditore, prima di chiedere un fido alla banca dovrebbe trascorrere una settimana con il bancario che dovrà fare l’istruttoria del fido allo scopo di comprendere i meccanismi, le regole, la logica che sottende la finanziabilità da parte della banca di un buon progetto imprenditoriale?

Forse una settimana è troppo? Non lo so, ma penso che il cambiamento passa da uomini “nuovi” quanto meno nelle idee, uomini che abbiamo il vero interesse a crescere e svilupparsi insieme ognuno nel rispettivo ruolo.

di Vincenzo Racalbuto