Adesso Beppe Grillo ha la sua testa di ponte, un comune importante come Parma. Conquistato con una vittoria forse imprevista nelle dimensioni e a spese di un Pd che è ormai il partito di maggioranza relativa. È una giornata che potrebbe cambiare il volto della politica italiana. I grillini hanno vinto in altri piccoli comuni ma si sentono anche espressione di quella “maggioranza silenziosa” che ha scelto l’astensione e ormai sfiora il cinquanta per cento dei votanti. Un elettore su due. Parma è la loro bandiera.
Non a caso il leader genovese, espugnata la metaforica Stalingrado, sogna di marciare presto su Berlino: ha effettuato una sorta di sbarco in Normandia, lavora per il crollo del sistema partitocratico. C’è da chiedersi se il Pdl, il principale sconfitto dei ballottaggi, abbia compiuto una scelta saggia nel sostenere a Parma il candidato del Movimento 5 Stelle, Federico Pizzarotti. Ha aperto un varco alla valanga e non sembra poterne trarre alcun vantaggio. Di più: ha voluto sbarrare la strada ad ogni costo al candidato del Pd, bocciando così le larghe intese. A questo punto c’è il pericolo concreto di ripercussioni sul governo Monti.
Come osserva Guido Crosetto, il centrodestra esce massacrato dai ballottaggi, il terzo polo è abortito, il Pd somiglia a un’anatra zoppa: Monti si regge su di una maggioranza ferita. Dovrà discuterne al Quirinale con il capo dello Stato al quale i grillini chiedono sarcasticamente se stavolta ha sentito il boom. Non ha torto la democratica Deborah Serracchiani quando dice che Parma offusca ogni altra vittoria del centrosinistra. A suo avviso Pierluigi Bersani farebbe bene a non nascondere la testa sotto la sabbia. Quello che si capisce è la lentezza dei partiti a prendere atto delle novità. Bersani si sente il vero vincitore, considera Parma una “non vittoria” (perchè prima l’amministrazione era del centrodestra), pensa che adesso vada avviato il percorso delle riforme. Enrico Letta lo candida alla premiership, forse per un’alleanza che vada da Casini a Vendola.
Con Grillo si ritiene possibile un confronto vecchio stile nel merito, in primis sul lavoro. Facile immaginare che il comico genovese non lo accetterà. Perchè la novità del Movimento 5 Stelle sta proprio nel rifiuto dei vecchi rituali, nell’ambizione di rovesciare il tavolo e di provare a governare da solo. Il che fa tanto scenario greco. Ma forse è proprio ciò che si vuole: un cambiamento radicale contro l’Europa della finanza.
Ne deriva che al Pd restano solo due strade. La prima: rivitalizzare le larghe intese con un patto che – come dice Sandro Bondi – riguardi le riforme e il mercato europeo. Ma ciò significherebbe anche proiettarne l’ombra sulla prossima legislatura e comunque essere capaci di varare una legge elettorale che garantisca un governo stabile e la scelta dei parlamentari da parte degli elettori. Il che sembra difficile. Seconda strada: il patto di Vasto. Antonio Di Pietro lo rilancia nella convinzione che si tratti dell’unico edificio sopravvissuto alla seconda devastante scossa sismica emiliana, stavolta di natura politica.
Ma i democratici non ne sono entusiasti. Nei grandi comuni come Genova e Palermo, infatti, hanno vinto uomini della sinistra radicale. Il Pd li ha subiti: il rischio è che tutto ciò si ripeta a livello nazionale. Quanto al centrodestra, Angelino Alfano dice che i moderati chiedono una nuova offerta politica e si sono rifugiati nell’ astensionismo. La domanda è se un Pdl in piena crisi di identità dopo l’abbandono di Silvio Berlusconi sia in grado di presentarla prima che Grillo “mandi tutti ai giardinetti” (Raffaele Lauro). Nuove formule con Montezemolo e Casini in veste di salvatori del centrodestra assomigliano più ad alchimie da prima repubblica che a reali novità, senza contare le rivalità interne.
Manca un leader carismatico, pesa il naufragio dell’asse del Nord con una Lega ridotta al ruolo residuale di piccolo partito locale che ha perso sette sfide su sette. Al nord non accadeva da anni. E poi incombe il problema dei problemi: la ratifica in Parlamento del fiscal compact, il patto di bilancio al quale Monti non ha presentato nessuna contropartita di rilievo, nonostante il G8 e i contatti con Hollande e Merkel. In assenza di correttivi reali per la crescita, una parte del Pdl non vorrebbe votarlo e così l’ala dura del Pd. Questo è lo scoglio sul quale rischia di infrangersi il vascello dei professori.