Nel giorno dell’Immacolata celebrata quest’anno nel Santuario di San Calogero, uno dei momenti più attesi, l’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Agrigento, Franco Montenegro. Ecco il testo integrale: “Oggi, festa di Maria l’Immacolata, la Chiesa ci conferma che la breccia che si aprì nel cielo al momento del peccato di Adamo ed Eva, è ancora aperta. I cieli non sono chiusi per noi. La luce di Dio continua a illuminare questo nostro mondo. Maria, bella “qual sole,
 bianca più della luna,
 più bella delle stelle. Con gli occhi più belli del mare,
 – così cantiamo sin da piccoli – è il raggio bello e splendente che ci rassicura, rasserena e ci spinge non solo a desiderare la luce, ma ad evitare che essa perda la sua intensità. Maria, chiara stella del cielo, ci invita a sentire forte il desiderio di essere attenti protagonisti e vivaci continuatori della storia nuova di cui Lei, accettando la proposta di Dio, è la capofila. Lei vi è entrata con tutta se stessa, non come semplice spettatrice orante ma, consapevole del ruolo di primo piano affidatoLe, scendendo in campo, senza perdere tempo, cominciando con l’andare a trovare e a servire la cugina Elisabetta. Credere, non è la prima volta che lo dico, non è soltanto tenere le mani giunte ma rivoltare le maniche e fare la propria parte. Il credente non sogna solo il Paradiso, ma sa che è possibile anticiparlo e costruirlo già qui. Sa che la preghiera, elemento essenziale su cui si regge la fede, obbliga ad agire. Il Vangelo condanna e allontana l’uomo che, per un’insensata ricerca di sicurezza, nasconde vilmente il talento ricevuto. Il credente come s’interessa delle cose di Dio e le mette al primo posto, così s’interessa delle cose degli uomini – esse interessano a Dio! – e mette anche queste al primo posto. È Gesù stesso a dirci che con un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un vestito – cose strettamente umane – facciamo gli interessi di Dio (“l’avete fatto a me”). Il nostro destino, come dice l’evangelista Matteo, è legato alle cose degli uomini. Ogni atto d’amore è atto di fede. Sono consapevole che questi concetti li ripeto frequentemente, ma lo faccio perché ho l’impressione che non è poca la difficoltà a entrare in sintonia con questo invito di Dio, preferendo invece una devozione che non sempre apre il cuore a un impegno concreto e attivo. Ecco perché, con la mia ultima lettera pastorale, vi ho chiesto di entrare e stare attivamente nella vita del territorio e di guardarlo e conoscerlo con gli occhi del cuore. Oggi per Agrigento è festa. Oggi è la nostra festa perché noi siamo la città di Agrigento. Le ultime statistiche che ci hanno visto avanzare di qualche posizione, ci dicono che la strada è ancora lunga e la scalata ai posti più alti è faticosa. È vero che la sua riuscita dipende dalle Istituzioni e da chi le amministra, ma è anche vero che ognuno di noi deve sentirsi un vivace protagonista della storia di questa città. Se vogliamo che la nostra città cambi, lo ripeto ancora, dobbiamo essere noi a cambiare per primi. Siamo noi che, mentre conserviamo e difendiamo ciò che ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto, dobbiamo desiderare e operare perché il presente e il futuro non siamo meno luminosi del passato. Adatto alla nostra città, quanto La Pira ha detto per Firenze. “Che cosa è Agrigento? Una casa grande, funzionale e bella, casa costruita nei secoli, con l’apporto di tutte le generazioni, su uno spazio definito dal Mar Mediterraneo, dai monti Sicani che l’abbracciano, per la grande famiglia agrigentina”. Il ruolo della nostra città, legato anche alla posizione geografica, è strategico. Siamo il lembo finale dell’Europa, ma non è detto che la fine sia la parte brutta e negativa. Leggendo un libro o vedendo un film, il finale non solo è parte della trama e dello svolgimento, ma è esso a dare senso e a far comprendere quanto si è letto e visto. Non dimentichiamo però che siamo pure l’inizio del Mediterraneo. L’inizio di ogni cosa è sempre pieno di possibilità, di aspettative e di novità. Siamo la porta aperta sul continente africano, che, nel prossimo futuro, diventerà sempre più cuore della storia mondiale. Questo motivo vieta che si offuschi il significato e la bellezza di questa città, ci impegna invece a costruire, e direi anticipare, già qui e ora il futuro. Dobbiamo agire con lo stesso cuore di Maria, cioè da cittadini attivi e orgogliosi del ruolo che la Provvidenza e la storia ci consegnano. La vivacità di una città, infatti, non serve solo a garantire gli interessi e il benessere dei suoi cittadini, ma si riflette sulla comunità civile più ampia. Ormai, nulla è più d’interesse particolare e privato, con la globalizzazione tutto è di tutti. La Pira affermava: “Le città non possono essere destinate alla morte: una morte, peraltro, che provocherebbe la morte della civiltà intera. Esse non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, delle quali nessuno può violare il diritto e l’attesa … Le città sono la casa comune che va usata e migliorata; che non va distrutta mai!”. La vocazione di Agrigento è sempre stata, e lo è ancora, il mondo. Agrigento non è un dono solo per noi, è stato ed è un dono per il mondo. E poi … Agrigento è più dei nostri ragazzi e dei nostri giovani. A loro dobbiamo consegnarla. Noi adulti viviamola questa città, ma pensando alle giovani generazioni. Sentiamoci anche responsabili delle loro partenze per la ricerca di un avvenire sicuro. Ogni giovane che si allontana è una ferita che si apre per questa città. È impossibile che non si possa far niente. Per questo mi rivolgo a quanti svolgono le diverse attività professionali e lavorative; a quanti nella politica sono chiamati a fare le scelte giuste per il bene comune; a chi, attraverso la cultura, l’arte, il pensiero, può aiutare a leggere e costruire i segni di speranza; ai credenti perché sentano la responsabilità della loro fede. Mi rivolgo soprattutto a voi giovani. Vi invito, ancora una volta, a non subire questa città, ma a viverla, e abitarla come casa vostra. Non sentitevi e non restate ai margini, scendete in campo. Agrigento ha bisogno di voi, amatela. Aiutate noi adulti a non essere dei rassegnati perdenti e brontoloni. La Pira affermava che c’è crisi quando si vive non interessandosi e non partecipando attivamente alla vita della Città. Le crisi si superano quando da parte i cittadini, che in essa sono nati e sono inseriti. Si sentono radicati, profondamente e organicamente, nella Città. Non stiamo a guardare il cielo con nostalgia ma, oso dire, tiriamolo quaggiù. Non dimentichiamolo, “la nostra cittadinanza ha il suo principio e fondamento nei cieli”. È vero che la natura che abitiamo è già bella, ma il Signore domanda a noi di darGli una mano perché la sua creazione non s’arresti. Facciamo sì che Agrigento sia da tutti indicata e riconosciuta non solo per i templi, ma anche per l’impegno che i suoi cittadini mettono per la ricerca del bene comune, ricordando che la bellezza di una città ha le radici nella ricerca della fraternità e della pace. Giovanni Paolo II, 20 anni fa, ci ha ricordato che la concordia non è solo un tempio sito in questo territorio ma è il debito che abbiamo nei riguardi del mondo. Valgano anche per noi le parole che Borsellino rivolse alla città di Palermo: “gli uomini passano, le idee restano, restano le tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte, piccolo o grande che sia, per contribuire a costruire in questa città condizioni di vita più umane”. Altre volte vi ho invitato, e rinnovo tale invito anche oggi e continuerò a farlo, a farci scuotere da un sussulto di orgoglio religioso, civile e civico. La rassegnazione, oltre ad essere colpa, ci rende perdenti dinanzi alle attese dei nostri giovani, ai quali diciamo, contraddicendoci, il nostro bene. Nelle litanie della Madonna, nostra mamma e nostro modello, non troviamo l’invocazione: Santa Maria rassegnata, bensì: Vergine potente, Torre della Santa città di Davide, Fortezza inespugnabile. Agrigento per vivere bene il presente deve saper guardare avanti e gettare il seme della speranza nelle pieghe della sua storia. Lo possiamo fare perché sappiamo che la nostra speranza è il Signore Gesù, che, da Betlemme in poi, è diventato uno di noi. Dice un salmo: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode”. Chiediamo aiuto a Maria, splendore di gloria, “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Apoc 12, 1). A Lei, sovrana e cuore del cielo e anche sovrana e cuore della terra, affidiamo le nostre vite e la nostra città. Lo faccio adattando una preghiera composta da Mons. Bello: “Santa Maria, donna graziosa, 
donaci di riconoscere le speranze del futuro.
 Ispiraci parole di coraggio.
 Non farci tremare la voce quando 
osiamo annunciare che verranno tempi migliori.
 Non permettere 
che sulle nostre labbra il lamento prevalga sullo stupore,
 che lo sconforto superi l’operosità,
 che lo scetticismo schiacci l’entusiasmo
 e che il ricordo del passato
 ci impedisca di far credito sul futuro.
 Aiutaci a scommettere con più audacia sui giovani,
 e preservaci dalla tentazione di lusingarli
 con la furbizia di sterili parole,
 ma di essere convinti che solo le nostre scelte di autenticità
 e di coerenza
 potranno coinvolgere i giovani nella nostra storia. Fa’ che la difficile realtà quotidiana sia irrorata di sogni. 
Infondici la sicurezza e di gioia di chi vede il sole spuntare. Aiutaci a comprendere 
che guardare le gemme che tra poco spunteranno sui rami dei mandorli vale più che piangere sulle foglie che cadono”.