Per essere chiaro il messaggio è stato chiaro. I paradisi fiscali non devono più esistere. Ogni Paese ha diritto a farsi pagare le tasse dai suoi cittadini, e le amministrazioni fiscali delle altre nazioni devono collaborare fornendo tutte le informazioni sui furbetti con il vizio del conto off shore. I Paesi del G8, (Usa, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone, Canada e Russia), faranno pressione sui paradisi per far cadere il segreto.

Il primo ministro inglese, David Cameron, ha alzato ulteriormente l’asticella, chiedendo che le multinazionali dichiarino dove producono i loro profitti, quante tasse pagano, dove le pagano e dove conservano i loro soldi. In Inghilterra una Commissione d’inchiesta ha messo sotto accusa società come Google, Amazon e Starbucks accusandole di triangolazioni spericolate in Paesi a fiscalità privilegiata solo per non pagare le tasse. Francia e Germania hanno acceso un faro. Anche il Fisco italiano indaga da tempo sugli schemi di “erosione della base imponibile” dei Big di internet.

Già all’Ecofin di maggio i Paesi europei avevano dichiarato di voler introdurre tra le amministrazioni fiscali lo scambio automatico di informazioni. Praticamente una decisione gemella di quella presa dal G8 di Lough Erne. La pressione sui paradisi fiscali, ha spiegato il premier Enrico Letta durante la conferenza stampa di chiusura del vertice, “è ormai insostenibile”.

Il colpo di grazia, ha aggiunto, dovrebbe arrivare al G20 di settembre a San Pietroburgo. La verità è che i Paradisi di diventare Purgatori proprio non ne vogliono sapere. In Europa il Lussemburgo ha aperto allo scambio di informazioni, ma solo dal 2015. L’Austria, altro paradiso ben dentro i confini del Vecchio Continente, ancora resiste. Cipro è caduta, ma solo sotto la minaccia di non ricevere i 10 miliardi di aiuti europei necessari a salvare il sistema bancario e i soldi dei risparmiatori.

Ma la vera resistenza rimane quella di Berna. La Svizzera, nonostante la pressione, continua a non mollare. Proprio mentre il G8 diffondeva il suo comunicato con la richiesta a tutti i paesi di uniformarsi ai precetti dell’Ocse sullo scambio di informazioni, la Camera bassa elvetica ha frenato la legge federale urgente presentata dal governo che dovrebbe permettere alle banche di trasmettere al Fisco americano informazioni sui conti dei suoi contribuenti per chiudere le controversie nate con l’amministrazione Usa. E non si può dire che Washington ci sia andata con i piedi di piombo nei negoziati con la Svizzera.

Obama, come nella lotta alla mafia, ha usato i “pentiti”. Come Bradley Birkenfeld, un manager di Ubs, l’Unione delle Banche Svizzere che ha deciso di spiegare al Fisco statunitense come la banca aiutava a nascondere in Svizzera i soldi dei contribuenti americani.

Una delazione premiata con un assegno a Birkenfeld di 104 milioni di dollari e che ha costretto Ubs a pagare 780 milioni di dollari al Fisco Usa e a fornire l’elenco di 4 mila titolari di conti segreti. La Svizzera sta cercando di evitare di dover sottoscrivere patti per lo scambio di informazioni, proponendo patti bilaterali che prevedono il pagamento di consistenti somme di denaro per poter mantenere il segreto. Roma ha negoziato per lungo tempo, poi ha rifiutato. La Germania aveva inizialmente accettato, alla fine però ha fatto marcia indietro.

Per Roma è Berna il vero baluardo da abbattere. Non a caso durante la conferenza finale del G8, Letta ha citato esplicitamente la confederazione, spiegando che il flusso di capitali che dall’Italia supera il confine non si è mai fermato. Di accordo per la tassazione dei soldi italiani nei forzieri elvetici non si parla più. Letta vuole abbattere il segreto. Dopo Giulio Tremonti, che quasi portò all’incidente diplomatico, la Confederazione ha trovato un nuovo nemico.

Di Vincenzo Sciabica

(fonte huffpost.it)